Migliaia di palestinesi provenienti dai villaggi attorno a Haifa e Yaffa si trasferirono in Iraq in seguito alla nascita dello stato d’Israele nel 1948. Ulteriori ondate migratorie di Palestinesi raggiunsero l’Iraq dopo la guerra arabo israeliana del 1967 e dopo la guerra del Golfo del 1991 quando altre migliaia di Palestinesi si videro costretti ad abbandonare il Kuwait. Nel maggio 2006, l’UNHCR stimava che il numero di Palestinesi residenti in Iraq, la maggior parte dei quali a Baghdad, raggiungeva le 34.000 unità.
L’agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (UNWRA) fu fondata nel dicembre del 1949 in seguto alla risoluzione 302 dell’Assemblea Generale, per dare immediata assistenza a tutti i palestinesi senza più dimora. Il suo mandato fin da allora è stato rinnovato regolarmente e l’agenzia continua a provvedere all’assistenza, tra cui educazione, salute e servizi di diverso tipo, a tutti coloro che vengono chiamati “Rifugiati Palestinesi”. Questi, vengono così definiti dall’UNRWA:
“persone il cui luogo di residenza era la Palestina tra il giugno del 1946 e il maggio del 1948, che persero entrambe le loro case e i mezzi di sostentamento come risultato del conflitto arabo – Israeliano del 1948… [la] definizione di rifugiato comprende inoltre i discendenti delle persone che divennero rifugiati nel 1948. Il numero dei rifugiati palestinesi registrati è cresciuto da 914.000 nel 1950 fino a più di 4,4 milioni nel 2005, e continua ad aumentare a causa della naturale crescita della popolazione.“
Il mandato dell’UNWRA tuttavia è limitato a quei rifugiati palestinesi che risiedono in Giordania, Libano, Siria, Striscia di Gaza e West Bank. Coloro che negli anni sono stati dislocati in altri paesi, vengono considerati rifugiati ma non rientrano sotto il mandato dell’UNWRA. l’Alto Commisariato Onu per i Rifugiati (UNHCR) è l’agenzia responsabile al provvedimento delle loro necessità.
I rifugiati palestinesi costituiscono la popolazione di rifugiati più estesa e più duratura del mondo in quanto tuttora rimangono senza alcuna prospettiva di soluzione alle loro difficile condizione. Virtualmente non hanno nessuna possibilità di ritorno alle loro terre e case, nonostate esista un diritto di rimpatrio contemplato dalla legge internazionale.
Prima dell’invasione statunitense in Iraq nel 2003, i palestinesi godevano di discreti diritti e la loro situazione era migliore anni luce rispetto a quella di altri palestinesi residenti nel vicino oriente: possedevano documenti di viaggio speciali e permesso di residenza, avevano diritto al lavoro e completo accesso a ogni tipo di servizio. Molti palestinesi vivevano in specie di case comunali fornite dalle autorità irachene e altri vivevano in case di proprietà privata il cui affitto era in parte sovvenzionato dalle autorità irachene.
In seguito all’invasione statunitense ha avuto inizio un’era in cui i palestinesi si sono visti vittime di continue violenze, sofferenze e sistematici abusi di diritti umani che raramente sono stati denunciati dalla stampa internazionale.
Immediatamente dopo la caduta di Baghad nell’aprile del 2003, i palestinesi iniziarono ad essere presi di mira da gruppi di milizie e soggetti a varie forme di maltrattamento, intimidazioni, rapimenti e uccisioni a causa della loro etnicità e perchè si presume abbiano ricevuto trattamenti privilegiati durante il governo Ba’ath capeggiato da Saddam Hussain. Da quando l’iraq è caduto nel caos e il conflitto settario tra sciiti e sunniti si è intensificato, i palestinesi sono diventati più vulnerabili poichè, a differenza delle comunità sciite e sunnite, non hanno mai avuto nessun gruppo paramilitare che li proteggesse o li difendesse in caso di attacco contro la loro comunità. Dall’inizio del conflitto molti palestinesi sono stati vittime di arresti arbitrari, detenzioni e diverse tipologie di torture dalle forze irachene e dalle Multi-Nation Force (MNF) col sospetto di essere coinvolti o di aver appoggiato gruppi insorti sunniti. I due più grandi blocchi politici sciiti, il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI) e i sostenitori politici e religiosi di Muqtada al Sadr hanno covato a lungo rancore per il trattamento privilegiato che i palestinesi hanno ricevuto prima del 2003. Le ali militari di questi due gruppi, rispettivamente l’esercito Mahi e le brigate Badr, sono stati e continuano ad essere responsabili in Iraq di evidenti abusi di diritti umani contro civili palestinesi.
A causa delle continue violenze in Iraq e dei persistenti maltrattamenti contro la loro comunità centinaia di palestinesi hanno abbandonato le loro case per raggiungere le frontiere siriane. Il 15 aprile 2006 le frontiere siriane sono state chiuse e da allora nessun rifugiato palestinese è più potuto entrare. E anche chi è entrato si è visto alla fine gettato in campi dove le condizioni di vita sono estremamente precarie. Da quel momento in poi, nessun paese ha dimostrato volontà e interesse ad occuparsi di questi rifugiati.
Ad Amnesty International le autorità siriane hanno riferito che nessun palestinese è autorizzato ad entrare in Siria almeno che non sia di passaggio verso Israele o le aree controllate dall’Autorità Palestinese. AI ha più volte insistito per visitare due dei campi profughi che si trovano al confine ma si è vista rifiutare la propria richiesta trattandosi, secondo le autorità siriane, di un “territorio pericoloso”.
Esistono tre campi porfughi che ospitano rifugiati palestinesi al confine tra Iraq e Siria e questi sono amministrati dall’UNHCR:
– al-Hol è situato nella regione di Al-Hassak nel nord est della Siria e ospita 304 (*) Palestinesi, la maggior parte dei quali erano arenati al confine giordano iracheno prima di essere ammessi in Siria nel maggio del 2006. In questo campo il tema della sicurezza non viene contemplato. I genitori mandano i propri figli nelle scuole siriane vicine e sono costretti a fare visita a cliniche locali spesso lontane per ricevere trattamenti medici. Sono obbligati a stare nel campo la sera, ma durante il giorno si possono muovere all’interno della regione.
– al-Tanf si trova nella terra di nessuno al confine tra la Siria e l’Iraq e ospita quei 389 (*) palestinesi la cui richiesta di entrata è stata rifiutata dalle autorità siriane. Le condizioni di vita nel campo sono molto difficili, con temperature che arrivano ai 50 gradi d’estate e freddo becco d’inverno. Il campo si trova al lato di un’autostrada rendendolo altamente pericoloso, specialmente per i bambini. Secondo AI, recentemente un bambino è morto colpito da una macchina mentre giocava nei pressi dell’autostrada. Nel 2007 il campo è stato colpito da un forte incendio causato da una scintilla in un cavo elettrico. Tre palestinesi hanno riportato ustioni molto gravi e altri 25 hanno sofferto di ustioni minori e problemi respiratori.
– Al-Waleed si trova in territorio iracheno a tre kilometri dal confine siriano. Ha aperto nel dicembre 2006 e a inizio 2008 contava 1.550 residenti. UNHCR (giordania) amministra il campo, ma per ragioni di sicurezza può inviare membri dello staff solo raramente, molto spesso non più di una volta al mese. Secondo agenzie UN e umanitarie le condizioni in questo campo sono tra le peggiori dei tre. La maggior parte dei palestinesi soffrono di svariate malattie, tra cui i problemi respiratori sono i più comuni. Purtroppo, l’ospedale iracheno più vicino si trova a al-Qa’im, a quattro ore di macchina dal campo, e la strada che vi porta è spesso occupata da gruppi armati che attaccano chiunque osi passare. Il 24 maggio del 2007 una delegazione governativa irachena ha fatto visita al campo informando i residenti che nessun paese arabo si sarebbe preso la briga di occuparsi di loro e proponendo tre alternative: i rifugiati avrebbero potuto tornare nelle loro case a Baghdad con la promessa che il governo iracheno si sarebbe occupato di proteggerli; avrebbero potuto tornare a Baghdad aspettando che UNHCR si occupasse di trovare loro una sistemazione futura; infine, accettare la proposta da parte del governo iracheno di costruire un campo profughi nel quartiere di al- baladiyat a Baghdad in grado di ospitare almeno 750 famiglie. I palestinesi di fronte a queste parole ovviamente hanno rifiutato.
Per motivi di sicurezza è stato impedito alle organizzazioni umanitarie e alle agenzie UN di mantenere una presenza stabile nel campo di al-Waleed. La croce rossa internazionale e l’ONG italiana il Consorzio Italiano di Solidarietà (CIS) sono le uniche che riescono a distribuire aiuti umanitari al campo. Secondo alcuni palestinesi intervistati, al campo non c’è abbastanza acqua e cibo e quello che c’è arriva spesso già scaduto. Le temperature sono elevatissime d’estate, d’inverno la regione viene colpita da violenti tempeste di neve e come se non bastasse è infestata di animali pericolosi come serpenti velenosi e scorpioni.
Oltre alle evidenti difficoltà di accesso a cure mediche, la sicurezza è un problema che preoccupa ulteriormente i residenti. Apparentemente, forze di sicurezza irachene appostate vicino al campo spesso fanno irruzione per spaventare e intimidire con le loro visite, utilizzando un linguaggio abusivo nei confonti dei palestinesi e spesso portandosi via donne e ragazze.
Alcuni bambini del campo di al-Waleed intervistati da un giornalista della Reuters proponevano il dialogo con gli alieni per un futuro insediamento palestinese su Marte. Persino loro hanno capito che sulla Terra non c’è più spazio per i palestinesi, è bene guardare avanti e far sì che la speranza sia l’ultima a morire.
(*) suddetti dati sono almeno vecchi di un anno, mi scuso per l’incompetenza, provvederò al più presto ad un aggiornamento.
Non ci sono purtroppo parole per commentare quanto scrivi. Credo che una soluzione per questa gente non si troverà mai. Anche se L’Iran o Hamas o Hezbollah cancellassero Israele dalla faccia della terra e tutti loro potessero ritornare alle loro terre d’origine, di cosa vivrebbero?
Non ci sono parole per commentare quanto scrivi. Credo che il popolo palestinese in esilio sia uno dei più martoriati dalla storia, oppresso da Israele e sfruttato dai Paesi Arabi per la loro politica. E senza alcuna speranza di poter tornare un giorno in Palestina: anche perchè credo che di tutti i rifugiati ancora nei diversi campi profughi, pochi siano quelli nati in Palestina
ottimo inizio.
W la svolta!
cacchio!
buon lavoro con le interviste e facci sapere che succede.
p.s. consiglio a tutti il volume “Palestina” di Joe Sacco. L’avevi già letto vero Bea? E’ stato messo in circolo tra i gardiniani che è poco…
purtroppo non l’ho mai letto. sai per caso se è disponibile una versione on line?
mumble….non saprei, penso di no, anche se è un po’ vecchiotto. Ma se torni in Italia te lo presto volentieri….
Eccellente lavoro, ma la realtà è molto, ma molto peggiore. I rifugiati palestinesi in Iraq costretti a lasciare le loro case non sono centinania, ma decine di migliaia: prima della guerra i palestinesi in Iraq erano 35.000, ora non sono più di 15.000-10.000. E le brigate Badr e il Mahdi army non si sono resi colpevoli solo di “abusi di diritti umani contro civili palestinesi”: hanno massacrato e torturato in maniera indicibile i rifugiati palestinesi. Questo è il sito dei rifugiati palestinesi in Iraq: http://www.paliraq.com/ E’ in arabo, ma si può leggere con una traduzione online. E le immagini non hanno alcun bisogno di essere tradotte: per esempio:
http://www.paliraq.com/index.php?option=com_content&task=view&id=263&Itemid=57
Aggiungo che nel 2007 i seguaci di Moqtada al_Sadr hanno esplicitamente ordinato ai palestinesi di “lasciare l’iraq o preparasi a morire”:
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/1540127/Shias-order-Palestinians-to-leave-Iraq-or-prepare-to-die.html
ma quindi, non si salva niente dell’unhcr o dell’unwra?
Certo che fra qualche anno, quando studieremo la storia dell’Iraq dopo Saddam con calma, ne vedremo delle belle. Questo Moktada che si è autonominato il Mahdi, che dovrebbe essere un pò come il Messia per gli ebrei, ma guerriero, ne ha combinate di cotte e di crude, dapprima contro gli americani e poi contro i suoi correligionari. E anche qui sorge spontanea la solita “stupida” domanda: ma dove trobano i soldi per le armi, quando le condizioni di vita sono così miserabili? Boh
i finanziamenti li ricevono da organizzazioni islamiche come i fratelli musulmani, da paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran, la Siria e la Russia, da espatriati palestinesi e da benefattori privati ultraconservatori.